Fatti e luoghi dell'Appennino Bolognese


La Grotticella Greenpepper (ER BO 956)

Al temine di una infruttuosa battuta alla ricerca di nuove grotte nel Parco dei Gessi Bolognesi, mentre attraversiamo, sparsi a ventaglio, l'interno della dolina per ritornare all'automobile, mi imbatto in un buco nel gesso dal quale esce un getto di aria calda. Togliendo un po' di terra rendiamo accessibile la cavità.
Era la prima volta che partecipavo ad una battuta per la ricerca di nuove grotte, in un'area apparentemente conosciutissima, quindi: mai dire mai!

Il resto lo potete leggere nella relazione di Luca Pisani e Luca Grandi "La Grotticella Greenpepper (ER BO 956)" pubblicata sulla rivista di speleologia Sottoterra n° 147 del G.S.B. - U.S.B. che per comodità trascrivo di seguito.

Il 3 gennaio 2018, nel corso di una battuta esterna nella Dolina della Goibola (versante Est) è stata rinvenuta una grotta soffiante, in posizione molto vicina alla Grotticella dell'intelligenza (ER BO 904).
Dopo una breve strettoia orizzontale parte un pozzo che si può scendere in libera per circa 3 m fino ad una saletta di discrete dimensioni, molto secca e sabbiosa, ma con evidenti segni di azione idrica (paleocorsi e canali di volta sul soffitto) e pareti lavorate.
Uno stretto cunicolo porta ad un'altra salettina senza prosecuzioni, mentre la via principale si affaccia su un pozzo di circa 4 m, anch'esso superabile in libera, che porta ad un ambientino di crollo. Sul fondo una strettoia reca in un antro in cui - da un esiguo buchetto - proviene tutta l'aria e dietro di essa si intravvede detrito sciolto e piccoli clasti arrotondati. Non vi è evidenza di possibili prosecuzioni.
La cavità è stata chiamata "Grotticella Greenpepper" in onore di Stefano e Luigi Grandi, speleo "in pensione" del GSB-USB. Il rilievo ne attesta uno sviluppo di 46 m, ed una profondità di - 14 m.
"Sempre meglio trovare 20 metri di grotta nuova che..." A voi completare la sentenza del Sommo.
Hanno partecipato Y. Cantelli, L.Grandi, S.Grandi, L. Pisani

30/10/2019
Stefano Grandi


Prima traversata integrale del Torrente Acquafredda… una Cayenna!

Se entri nel Gruppo Speleologico Bolognese e abiti a San Lazzaro di Savena, non puoi non essere affascinato dalla Spipola, la mamma delle grotte bolognesi, tanto che è inevitabile, tra tanti weekend impiegati in esplorazioni ed esercitazioni nei posti più improbabili, che qualcuno sia dedicato a visitare gli intricati rami di questo grande complesso.

Quando nel 2013 ho iniziato ad interessarmi al mondo sotterraneo, subito mi sono chiesto se qualcuno avesse mai tentato una traversata completa, se fosse possibile, entrando dall’Inghiottitoio dell’Acquafredda e uscendo nel Savena dalla risorgente a valle, d’altronde se c’è il rilievo, qualcuno ci deve essere stato.

Ancora non ero entrato nell’ottica speleologica, avevo una visione di “compiere imprese” molto più vicina al mondo dell’alpinismo e dell’escursionismo, che, devo dire, un po’ mi rimane ancora oggi, informandomi scopro che l’idea non era minimamente considerata, in quanto le forze del Gruppo erano spese per l’esplorazione di nuovi ambienti e non per escursioni ipogee “sportive”, anche se estreme. Pace, mi prometto però che prima o poi la farò.

Un bel giorno sento Massimo Dondi (Max), esperto conoscitore dell’Acquafredda, che ne parla con altri speleologi: avevano questa idea in testa da tempo, ma dai loro sopralluoghi, trovando un passaggio da superare immersi nell’acqua e nel fango erano stati costretti a rinunciare: sono necessari mute, allenamento, esperienza e tanta determinazione, troppo presto per me, quindi per il momento accantono l’idea e mi dedico per qualche anno all’attività speleologica esplorativa.

Passate le vacanze estive 2017 ho qualche weekend libero e chiamo Max: sabato 2 settembre andiamo a rilevare il tratto oltre il Passaggio Fogli, ovvero oltre il sifone terminale della Grotta Calindri, con Luca Pisani (Piso) e Giorgio Dondi (Giorgino). È il momento giusto per andare in questi posti: la siccità più alta degli ultimi 60 anni affligge anche i torrenti delle nostre grotte e per questo Max si ricorda della tanto agognata traversata del Sistema. Piso sta per partire per la Slovenia e io il 20 settembre ho un esame, quindi decidiamo di non perdere tempo e il giorno dopo la Calindri io, Max e Luca Gattoni (Gatto) entriamo in Acquafredda per fare una ricognizione in modo da tentare la traversata il 9 settembre. Paolo Grimandi e Giancarlo Zuffa, saggi Dinosauri del GSB, ci allarmano sconsigliandoci di entrare dopo un qualsiasi acquazzone, proprio come quello tra la notte del 2 e del 3, il primo dopo mesi di siccità, ma la voglia di riuscire è tanta che entriamo in grotta lo stesso, constatando che il torrente è in piena. Desistiamo da indossare le mute e avventurarci nei primi metri del cunicolo, ma grazie a questa uscita e alla perspicacia del Gatto, individuiamo non senza difficoltà la via che dalla Sala dei Tre porta alla Saletta Spipola: l’ingresso del cunicolo allagato.

È ora di divorare “Le Grotte Bolognesi” e reperire ogni informazione su questo passaggio: venne tentato per la prima volta nell’agosto del 1957 da Giancarlo Pasini, Romano Guerra e Luigi Zuffa da monte e Giuseppe Landini, Vittorio Pallotti e Vittorio Veratti da valle, entrambe le squadre rinunciarono a causa della gelida temperatura dell’acqua in cui si avanza, dichiarando l’impresa impossibile. Eppure nel 1958, il 17 ottobre, Pasini e Zuffa tentano di nuovo, emergendo dopo ore di fatiche dalla Dolina Interna della Grotta della Spipola: la congiunzione è avvenuta e l’impresa di notevole spessore, considerando che alcuni passaggi impongono di voltarsi di schiena per tenere il viso fuori dall’acqua, sempre con il timore di trovare un ostacolo che costringa a tornare indietro, ripercorrendo i difficoltosi metri conquistati fino a quel punto.

Passano 20 anni in cui il cunicolo viene ignorato, quando nel 1979 i due giovanissimi Andrea Parini ed Emilio Franco ripetono l’impresa in senso inverso, costretti a superare tratti semi-sifonanti, ma grazie a loro il cunicolo viene dichiarato percorribile e dunque rilevabile. Il 5 ottobre dell’anno seguente Stefano Zucchini, Rodolfo Regnoli e Roberto Sarti scendono la Dolina Interna per incominciare le operazioni di rilievo del Passaggio Spipola-Acquafredda, procedendo verso monte e talvolta immergendosi completamente, le condizioni sono proibitive e gli speleologi non sono dotati di mute; giunti alla Sala del Cinturone il cunicolo risulta intransitabile, i tre sono costretti a battere in ritirata, ma Rodolfo, stremato dal freddo e dalla fatica, non riesce a muoversi, rimanendo sopraffatto dall’ipotermia mentre gli altri due corrono verso la Spipola a chiamare i soccorsi. Il corpo viene ritrovato dopo due giorni in seguito a difficili operazioni di recupero.

Fu un duro colpo per il Gruppo e per la speleologia bolognese, che contribuì ad alimentare la cattiva fama di quel cunicolo e limitarne le successive frequentazioni, avvenute unicamente da parte di Massimo Liverani di Imola e da parte di Giuliano Rodolfi, Michele Sivelli e Gianluca Zacchiroli per ultimare i rilievi. L’idea di effettuare una traversata completa balzò in mente a speleologi come Giancarlo Zuffa, Paolo Nanetti e Alberto Cangini, che più volte tentarono invano di superare i primi metri di cunicolo dopo la Saletta Spipola utilizzando tute stagne e sacchi della spazzatura forati, ma riuscirono nel 1988 in 6 ore solo grazie alla scoperta della Condotta delle Meraviglie, che collega l’Acquafredda alla Sala del Cinturone evitando il tratto più impegnativo dell’attivo.

È il nostro turno, dopo l’acquazzone del 3 settembre per tutta la settimana non ha piovuto eccetto qualche goccia giovedì sera, ma le previsioni per venerdì e sabato sono ottime. Io e Piso in settimana siamo riusciti a trovare due mute in neoprene da 2 mm guidando fino al Decathlon di Faenza, ma siamo molto contenti dell’acquisto visto che sono dotate di ginocchiere integrate e protezioni posteriori. Sopra alle mute indossiamo le tute speleo normali, le mani e i piedi sono protetti da guanti e calzari in neoprene. Optiamo per un equipaggiamento essenziale: due barrette energetiche, ½ L d’acqua e un telo termico. Tutto è pronto, ma noi saremo all’altezza di quei 1800 m di percorso? Sui fratelli Dondi non si discute: con i loro 55 e 53 anni di età tutti i weekend sono impegnati in scavi ed esplorazioni delle più difficili grotte bolognesi, Piso ultimamente è spesso con loro e, appena tornato dalla spedizione in Bosnia, ormai va più in grotta dei pipistrelli, io date le mie sporadiche apparizioni sottoterra sono il più svantaggiato, ma 15 giorni tra escursioni e arrampicata sulle Alpi Svizzere con mio fratello e mio padre mi hanno tenuto in buona forma fisica.

La notte prima c’è chi dorme poco e chi fa brutti sogni a sfondo speleologico, ma il 9 settembre 2017 alle 8.30 siamo alla Siberia a lasciare l’auto di Piso e un cambio di vestiti, mentre con l’auto di Giorgino saliamo fino alla Croara. Poco prima delle 10 entriamo nell’Inghiottitoio dell’Acquafredda e volando raggiungiamo la Saletta Spipola, non vediamo l’ora di entrare nel cunicolo un po’ per scoprire se risulta passabile, un po’ perché indossiamo le mute sin dall’ingresso e speriamo che l’acqua ci procuri un minimo di refrigerio. Calziamo i guanti in neoprene e ci infiliamo, con Max in testa raggiungiamo le prime due salette in un tempo irrisorio, immersi in una motriglia mista ad acqua che ci avvolge, avanzando solo quando i gomiti e le ginocchia raggiungono faticosamente il pavimento di gesso e ciottoli, oppure spingendosi con la parete vicina. Poi passo in testa io, quello che ci aspetta sono 350 m di condotta forzata di forma elissoidale, alta mai più di 50 cm, per metà riempita di sedimenti e acqua con foglie e altri materiali depositati anche sul soffitto - indice che quando il torrente va in piena, la condotta si riempie completamente - avanzare è molto lento e faticoso, tanto che presto chiedo il cambio a Piso e lui più avanti lo chiederà a Giorgino. Questo tratto non presenta nessuna via di fuga e nemmeno un vano in cui alzarsi in posizione eretta fino a che non si raggiunge la Sala del Cinturone, 40 m dopo aver abbandonato il torrente, che si insinua a destra in una profonda fenditura nel gesso e nei sedimenti, forse oggi percorribile in condizioni siccitose. Alla vista del cartello della Sala del Cinturone esultiamo!, il tratto più impervio e pericoloso è vinto.

Raggiungiamo la bella e grande Sala Floriana strisciando su un pavimento asciutto, ma i successivi 120 m si fanno dare del lei, anche questa tratta, come quella iniziale del cunicolo, non era mai stata percorsa da Max e presentava un fondo asciutto di ciottoli e concrezioni, con una luce di massimo 25-30 cm, non sappiamo come faccia Max senza le ginocchiere! Questi 120 m risultano i più faticosi dal punto di vista fisico di tutta la traversata, ma ci permettono di giungere alla Sala Gabriella, da questa iniziamo a strisciare e rotolare – poco perché fa venire il voltastomaco - nella condotta che che conduce alla Crepa Orsoni, con le sue storiche scritte, dove finalmente possiamo rialzare la testa; solo due grandi piscine gelide ci costringono a immergerci di nuovo, lasciando giusto lo spazio minimo per tenere la testa fuori dall’acqua.

Facilmente percorriamo i rami inferiori della Spipola, cercando di seguire il più possibile il corso del torrente, finchè prima di uscire nella Cava del Prete Santo, Max ci sfida a superare il sifone che collega la Grotta del Prete Santo alla cava, passato solamente una volta, senza avere il tempo di pensarci Piso è di là, seguito da Max, io e Giorgino… che gioia scoprire che dobbiamo tornare indietro, a causa di un secondo sifone impraticabile!, entriamo di nuovo nel passaggio sifonante, tenendo il naso nei 5 cm d’aria che rimangono, ma Giorgio si butta in acqua con la tecnica dello squalo: testa sotto e pinna fuori!, non gli importa più di niente: sente già di essere fuori e infatti lo saremo pochi minuti dopo!

La prima traversata integrale del Complesso Spipola-Acquafredda lungo il Torrente Acquafredda è riuscita, ripercorrendo le orme di Pasini e Zuffa, dinnanzi ai quali ci leviamo il cappello per l’immensa impresa compiuta nel ’58, senza conoscere gli ostacoli che avrebbero incontrato lungo quel maledetto cunicolo allagato che portò via la vita a Rodolfo Regnoli, a cui il nostro pensiero si è rivolto più e più volte durante questa faticosa giornata.

Dalla cava ci tuffiamo direttamente nel Savena, nuotando in una vasca di acqua torbida in cui scattiamo le foto di rito e ci laviamo, concludiamo cambiandoci al parcheggio, dove mentre brindiamo con un Prosecco portato segretamente da Max, ci raggiungono altri amici del GSB, ci abbracciamo tutti. Non me lo dimenticherò mai. Che Cayenna!

Luca Grandi 25 Ottobre 2017

Foto Massimo Dondi

 

Bibliografia: Le Grotte Bolognesi GSB – USB, Sottoterra 134

Una Tesi sull'area carsica del Farneto

Abstract: La scoperta di un importante torrente all'interno della Grotta dei Modenesi (Farneto, Bo), nel dicembre 2015, ha creato un nuovo interrogativo nella già complessa rete idrogeologica dell'area carsica adiacente alla Grotta del Farneto.
Le ricerche svolte nel 2016 dagli speleologi del Gruppo Speleologico Bolognese hanno fornito le risposte a parte di questi interrogativi, con un lavoro descritto nella tesi di laurea di Luca Grandi.

Foto di L.Viola e V.Naldi GSB-USB

Scarica il Testo integrale della Tesi in formato .pdf


OFIOLITI

Presentiamo uno studio sulle Ofioliti (letteralmente roccia serpente), effettuato da Pietro Grandi, appassionato cultore di micromineralogia.
L'autore analizza con particolare attenzione la storia geologica e l'aspetto mineralogico delle Ofioliti dell'Appennino bolognese e del crinale fra la provincia di Bologna e di Firenze.

Il testo integrale della tesi è scaricabile in pdf a questo link.


Nuova discesa del canyon dello Zena

Assieme ad Elena, del GSB-USB, ho tentato di ripercorrere il canyon dello Zena in condizioni di portata idrica primaverile (era il 12 aprile 2015), quindi molto maggiore di quella affrontata in occasione della prima discesa.
Ci siamo tuttavia imbattuti in un imprevisto: accumuli di tronchi e rami sul letto del torrente, caduti a causa delle abbondanti nevicate invernali. Questi ammassi rendevano difficoltosa la progressione e poco gradevole l’ambiente circostante, tanto da farci decidere, seppur amareggiati, di uscire dalla forra dopo la prima grande vasca.

Luca Grandi 24/09/2015

Autunno al Lago Scaffaiolo

La curiosità di visitare una piccola parte del Parco Regionale del Corno alle Scale, frequentatissimo in estate ed inverno, ma certamente deserto in un giorno feriale d'autunno, mi ha spinto a trascorrere una notte in camper presso il laghetto del Cavone, accanto all'omonimo rifugio.
Poco dopo il tramonto, che avviene attorno alle 17,15, scendono a valle alcuni operai che stanno effettuando la manutenzione degli impianti sciistici ed inizia il buio ed il silenzio, ai quali in città non siamo più abituati, e che sarà interrotto solo il mattino successivo dal ritorno degli operai.
I primi raggi di sole filtrano a fatica fra i faggi ingialliti e gli abeti avvolti dalla nebbia dietro il rifugio Cavone. Con una breve risalita raggiungo la cascata sopra il laghetto Cavone per una foto per poi tornare sui miei passi, verso la meta principale del lago Scaffaiolo.

Raggiunto il rifugio le Malghe la nebbia si dissolve, anche per il vento freddo, che nei luoghi più esposti ha condensato e ghiacciato l'umidità sui ciuffi d'erba, con un effetto invernale. Effetto che nei pressi del rifugio Duca degli Abruzzi e del Lago Scaffaiolo assume maggior rilevanza; il vento gelido mi concede tregua solamente all'interno del bivacco Musiani, dove trovo momentaneo riparo.
Nel frattempo il mio cane Pepe ne approfitta per una scorpacciata di ghiaccioli ed alcune allegre corse nel lago.

Luigi Grandi 28 ottobre 2014

Panorama da Monte Venere

Approfittando di queste giornate ventose, fresche, quindi con buona visibilità, dalla cima di monte Venere, ho fotografato questo panorama verso monte Vigese, Montovolo, Corno alle Scale.

Luigi Grandi 22 Ottobre 2014

Discesa del Canyon dello Zena

In pochi lo sanno, ma lo Zena, torrente del medio-basso Appennino bolognese, a poca distanza dalla sorgente precipita in un lungo canyon boscoso, effettuando uno spettacolare salto di 25 m.
Appresa la notizia da alcuni abitanti di Quinzano, la cascata e la forra hanno subito stimolato la nostra curiosità e la voglia di ammirarle da vicino, perciò, parlando con alcuni soci del Gruppo Speleologico Bolognese, probabilmente i primi ad avere percorso il canyon integralmente, abbiamo recuperato alcune informazioni sulla discesa:
sono necessarie una corda statica da 60 m e qualche cordino da abbandono, in quanto per tutte le calate sono presenti alberi a cui assicurarsi.
A mezzogiorno in una domenica soleggiata, lasciata una macchina alla Fornace di Zena: il punto d'arrivo della traversata, ci rechiamo al Parco dei Pianazzoli nei pressi della fonte di Quinzano; ci incamminiamo, seguendo il corso dello Zena, fino al ciglio del salto di 25 m, dove armiamo con un cordino attorno a due alberi e scendiamo in corda doppia. Dal basso osserviamo l’acqua scorrere quasi verticalmente sull’imponente colata di travertino, poi proseguiamo la discesa camminando su alcuni scivoli più o meno facili, tutti superabili senza l’ausilio di corde, sempre circondati da alte pareti di arenarie della formazione di pantano.
Procediamo per diverse ore sul comodo alveo levigato dalla corrente, superando a volte punti in cui le pareti del canyon si avvicinano fino a quasi un metro di distanza, ma è verso la fine che la forra cambia totalmente aspetto: tra marmitte dei giganti e due scivoli da 10 m siamo costretti a riutilizzare la corda, in un ambiente che stupisce come molte delle meraviglie che nasconde il nostro Appennino.
Sono già le 19 quando affrontiamo l'ultimo dei tre salti principali del canyon, lasciandoci alle spalle la stretta forra per incominciare a camminare in un'ampia valle, sul deposito alluvionale del fiume; alla luce delle torce intercettiamo il “sentiero dei sette guadi” (segnavia Cai 805), che ci conduce alla località Fornace, dove alle 20 rivediamo la macchina, dopo 7 ore di traversata. Stanchi, bagnati, infreddoliti, ma pienamente soddisfatti.

Luca Grandi e Vania Naldi, 5/10/2014

Un incontro inaspettato – Il grifone al Corno alle Scale

La mattina del 6 Giugno 2014 io ed un gruppo di amici ci siamo imbattuti in un' insolita presenza sulle creste del parco del Corno alle Scale, montagna tra le più alte nell' Appennino Settentrionale (1945 m).
Dopo aver infatti percorso il sentiero che dal lago del Cavone porta sulla vetta del Corno alle Scale attraverso i “Balzi dell' Ora” (sentieri CAI 335, 337 e 129), nel pieno della nostra pausa pranzo veniamo scossi dall' imponente e maestosa sagoma di un rapace che volava rapido sopra le creste delle montagne. Ad una prima vista rimaniamo esterrefatti dall' immensa apertura alare del volatile, tanto che mi fiondo subito sulla macchina fotografica per cercare di capire meglio con lo zoom di che tipo di rapace si tratti. Dopo alcune foto, l' animale decide di averci concesso già troppo tempo e si allontana in pochi secondi, sparendo dalla nostra vista. Riguardando all' istante le foto ci accorgiamo di non avere mai visto in queste montagne un rapace così grande e, dopo una piccola ricerca su internet, confrontando le caratteristiche dei rapaci più grossi che ci vengono in mente (aquila reale, grifone, avvoltoio monaco ecc.), giungiamo alla conclusione che non poteva trattarsi sicuramente di un' aquila reale: il collo, l' apertura alare ed il capo ci riportavano con abbastanza sicurezza ad identificarlo come un grifone o un avvoltoio.
Tornati a casa ampliamo le nostre fonti e scopriamo non solo che l' avvoltoio monaco (Aegypius monachus) in Italia si è estinto negli anni '60, ma anche che il grifone comune (Gyps fulvus) vive ancora nel nostro paese in alcuni nuclei sedentari (Sardegna, Sicilia e Calabria nel parco del Pollino) ed è stato recentemente reintrodotto in Abruzzo e Friuli. Dopo un ulteriore analisi delle caratteristiche morfologiche del rapace giungiamo alla conclusione di esserci imbattuti in un raro esemplare di grifone, probabilmente di passaggio lungo l' Appennino in cerca di cibo. Il giorno dopo contattiamo la LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) per segnalare l' avvistamento insolito, la quale ci conferma la presenza di alcuni nuclei di grifoni in Italia, in cui esemplari solitari possono allontanarsi in cerca di cibo, spostandosi in poco tempo anche di molti chilometri. La presenza, sebbene fugace, di un rapace così insolito e raro sulle nostre montagne non può che renderci entusiasti dell' avvistamento e farci sperare sempre di più in una possibile (seppur incerta e minacciata) prolificazione di queste meravigliose ed esotiche creature.

Luca Pisani 11/06/14

Ritorno a Rio Centonara


Abbiamo voluto raggiungere la Forra di Rio Centonara con un percorso più breve ed agevole rispetto a quello precedentemente descritto. Partendo da Ozzano dell'Emilia imbocchiamo via Tolara di Sopra ( indicazioni per Settefonti ) fino ai ruderi di Cà Pieve ( m 283 s.l.m. ) edificata sul luogo dove nel XII secolo sorgeva la Pieve di Pastino.
Parcheggiata l'automobile, superiamo una stanga che limita l'accesso ad una cavedagna e percorriamo il sentiero 801b, che abbandoniamo dopo 230, m per voltare a destra al primo bivio ( quota 270 m ) quindi proseguiamo in ripida discesa, con vista sui calanchi dell'Abbadessa, fino a raggiungere la parte alta del ramo del Rio Centonara ( quota 148 m ). Ora scendiamo nel fosso, tra la folta vegetazione, fino ad entrare nella forra scavata nella Selenite (km 0,950 dalla strada asfaltata). Volendo esplorare il breve ma angusto meandro è consigliabile dotarsi di una torcia elettrica.

Partecipanti: Stefano Grandi, Luca Grandi, Luigi Grandi, Luca Pisani, Mirko Salinitro. 31/10/2013

La Forra di Rio Centonara

Spesso non ci si rende conto che alcuni dei luoghi più particolari e insoliti del nostro Appennino si trovano a due passi da casa. Questo è il caso del mini-canyon che un affluente del rio Centonara ha scavato in un piccolo affioramento gessoso, sui primi rilievi a sud di Ozzano dell'Emilia. Anche se si sviluppa per non più di un centinaio di metri, merita una visita perché si tratta dell'unico scavato nei gessi, con una larghezza che oscilla dai 40 cm. dell'ultimo tratto, ai 2 m. nei settori più ampi e un'altezza di 3-4 metri. Era già noto nell'ottocento ma ai giorni nostri è praticamente sconosciuto: la folta vegetazione infatti ne rende molto difficile l'individuazione, nonché il suo raggiungimento. Per arrivarci consigliamo di seguire da Ozzano la via S.Andrea e lasciare l'auto al parcheggio in prossimità della chiesa omonima(m.176), vicino alla villa Conte Massei. Da qui a piedi si segue la strada sterrata e poi il sentiero, contrassegnati col n.801a, fino al punto in cui quest'ultimo attraversa il rio Centonara (m.142 ca.- 1 km.ca. dal parch.) Ora si abbandona il sentiero che risale il rio verso monte e si scende verso valle sfruttando, ove possibile, le piste lasciate dagli animali o il letto del rio. Dopo 650 m. ca., alla quota di m.125 si incrocia a destra, l'affluente che ha scavato il canyon. Dopo pochi metri dalla confluenza si può ammirare sulla destra una sorgente che con le sue acque ricche di carbonato di calcio ha incrostato il gesso. Si risale ora all'interno della gola. Il muschio sulle alte pareti e l'angusto alveo del ruscello lo rendono un luogo dal fascino magico. Si passa anche sotto due muri di cui non abbiamo capito né l'utilità né l'epoca di costruzione, fino ad arrivare, apparentemente, alla fine del canyon, ma se si presta attenzione, risalito un gradino alto 1 m. e infilandosi a destra in un cunicolo dietro la curva di un meandro, si prosegue per un altro segmento con una larghezza di 40-50 cm., fino ad uscire verso l'alto con una breve e facile arrampicata. Ritorno all'auto per lo stesso percorso. Anche se il tratto da percorrere a piedi è breve, soprattutto in presenza di fango e acqua come è capitato a noi, calcolare circa 2 ore per l'escursione.

Pietro, Luca e Stefano Grandi, 16/12/2012

L'Aquila reale a Monte Salvaro

Non è un extraterrestre quello che mio padre ed io abbiamo avvistato nella mattinata del 9 ottobre, ma qualcosa di certamente raro per i territori del basso Appennino bolognese, un'immagine impressa nella memoria e uno stupore che difficilmente si ripeterà.
Quella domenica prometteva davvero bene, in quanto, non appena lasciata l'auto presso Pioppe di Salvaro, in poche centinaia di metri abbiamo osservato tre specie di picchio: due Picchio muratore (Sitta europeae), un Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) e un Picchio verde (Picus virdis) e, imboccato il sentiero C.A.I. 172, che porta verso la cima di Monte Salvaro, ci siamo imbattuti in un branco di una decina di Cinghiali (Sus scrofa), che si aggiravano tranquilli per i boschi selvaggi del versante ovest della montagna.
Abbandonato il sentiero, abbiamo imboccato la traccia in direzione sud che porta ad incontrare un contrafforte che scende dalla cima, in un caratteristico punto panoramico roccioso. Durante la breve sosta di rito, una coppia di Poiane (Buteo buteo) si è allontanata in volo, quindi una Ghiandaia (Garrulus glandarius) e tre Cornacchie grigie (Corvus corone cornix).
Appena ripreso il cammino, da un albero a 20 m più in basso rispetto a noi, si è levato in volo un uccello dalle dimensioni enormi, la cui vista ci ha lasciati a bocca aperta. La luce favorevole e la distanza ravvicinata ci hanno permesso di osservare perfettamente l'animale e distinguerne le forme e i colori: una dominante nera con due macchie bianche sulla parte superiore e inferiore delle ali, una lunetta bianca sulle timoniere, testa e becco massicci e un'incredibile apertura alare valutata oltre 2 m. Dopo pochi minuti l'abbiamo rivisto volteggiare in cielo sopra Carviano, inseguito e disturbato da alcune Cornacchie (mobbing), qui abbiamo potuto osservarlo più a lungo e fotografarlo nonostante la distanza.
Con questo inconfondibile aspetto e verificate a casa le guide ornitologiche, siamo giunti alla certezza di aver visto un'Aquila reale juv. (Aquila chrysaetos), che, a differenza degli adulti, che sono residenti e territoriali, vagano in erratismo.
Probabilmente l' avvistamento dell'Aquila reale in un habitat che abitualmente non frequenta costituisce il riconoscimento che la natura ha riservato alla nostra costanza dopo anni di birdwatcing ed esplorazione del nostro territorio.

Luca e Stefano Grandi 11 Ottobre 2011


stesso luogo
avvistamento del 30/10/2011


L' antico oratorio di S. Barbara

Un cumulo di pietre in mezzo ad un bosco: sembra non meritare particolare attenzione. Uno dei tanti edifici che si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato e distrutti dalla seconda guerra mondiale, in un periodo nel quale non ci si permetteva alcuna sensibilità, tanto meno storico architettonica.
Siamo nel Parco Storico di Monte Sole e parlo delle rovine dell'oratorio di Santa Barbara, accanto alla cima del Monte che porta lo stesso nome, appunto distrutto dai combattimenti sulla Linea Gotica nel 1944/45.
C' era una volta (di preciso non saprei quando), presso la cima di questo Monte, il Castello d'Ignano, dei Conti di Panico, con accanto un oratorio dedicato a S. Giorgio.
Storicamente nel 1309 avvenne la distruzione ad opera dei Bolognesi, acerrimi nemici della famiglia Ghibellina dei Panico, del loro castello che si trovava presso un'ansa del Reno accanto alla Pieve di Panico e da allora questa famiglia di feudatari decadde, tanto da scomparire nel volgere di un secolo assieme ai suoi numerosi castelli.
Certamente a metà del XV secolo anche il Castello d'Ignano e l' oratorio di S. Giorgio non esistevano più perché un certo signore A. F. decise di costruire a proprie spese in quel luogo un oratorio dedicato a Santa Barbara, che divenne meta di pellegrinaggi popolari. Lo si raggiungeva prevalentemente dalla Chiesa di Santa Maria della Villa d'Ignano (ora sconsacrata) da cui dipendeva, percorrendo la strada, ora abbandonata, che saliva alla Volta.
Noi abbiamo raggiunto S. Barbara salendo dalla Pieve di Panico, S.Silvestro, Collina, Volta.
I ruderi dell'oratorio sono invasi dalla vegetazione, risultano ancora visibili porzioni di muri perimetrali con grandi pietre angolari in arenaria e travertino, probabilmente recuperate dalle precedenti costruzioni, e con una certa emozione abbiamo individuato nella muratura un mattone manubriato romano, quindi presumibilmente recuperato a sua volta da edifici ancora più antichi.
Il ritrovamento di laterizi romani non è un fatto straordinario nemmeno nel Parco di Monte Sole (ricordo d'aver visto affiorare in passato frammenti di mattoni, embrici, esagonette pavimentali nei campi arati sotto San Martino), ma le pietre dimenticate dell'oratorio di S. Barbara, nello scenario del contrafforte pliocenico oltre la valle del Setta, ci hanno trasmesso una particolare suggestione.

Luigi Grandi 29 agosto 2011


Bibliografia:

Luigi Fantini. Antichi edifici della montagna bolognese. Volume II p. 501
Serafino Calindri. Dizionario Corografico-Storico, I Bologna 1781. pp. 207-208

Cavità artificiale nel Contrafforte Pliocenico.

Nella Riserva Naturale del Contrafforte Pliocenico ci siamo imbattuti in questa cavità artificiale che mi ha incuriosito e, giocando all'archeologo, fatto immaginare si possa trattare di un antico sepolcro riutilizzato come ricovero durante il secolo scorso.
Presenta una pianta rettangolare ( m 4,25 x 3,45 ) ed un'altezza massima di m 2,30. Sono evidenti sulle pareti i colpi di scalpello, alcune crepe sono state otturate con frammenti di arenaria,di coppi, ciottoli e malta.
Ho effettuato una sommaria ricerca in internet senza trovare riferimenti: mi resta la curiosità...qualcuno ha notizie?

Luigi Grandi 01/08/2011

di Luca Grandi 21/04/2011

Neve vegetale

Con un gruppo di amici, durante un'escursione in mountain-bike lungo il torrente Idice, ci siamo imbattuti in questo singolare fenomeno, ripreso in prossimità del guado situato sotto il ponte della ferrovia. Il lento scorrere del torrente in questo determinato punto ha permesso al polline di pioppo di adagiarsi sul pelo dell'acqua creando un'atmosfera quasi invernale.

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